Cass.Pen. sez. V sentenza 41394 del 06/11/2008

Cassazione Penale - Sezione V
sent. n. 41394 del 06/11/2008

omissis

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

OSSERVA

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 25.10.2007, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale D. G., medico chirurgo, fu condannato alla pena di giustizia in quanto riconosciuto colpevole del delitto di cui all'art. 479 c.p. (commesso il X. ) per avere falsamente attestato in cartella clinica che la paziente A.M. era stata ricoverata per ascesso mammario, anziché per un intervento di chirurgia estetica.
Ricorre per cassazione il difensore e deduce manifesta illogicità della sentenza e travisamento del fatto, atteso che i giudici di appello ritengono di avere individuato una sostanziale differenza tra l'intervento eseguito e quello descritto in cartella clinica. In realtà è la stessa sentenza che afferma la completa autonomia della condotta del D. rispetto a quella del medico (il dr. D. P.) che redasse la impegnativa di ricovero, di talché il ricorrente deve essere chiamato a rispondere unicamente del suo operato. Ebbene, sulla base delle emergenze processuali, non può certo affermarsi che egli annotò in cartella la descrizione di un intervento diverso da quello effettivamente effettuato. I testi citati in sentenza ( D.M., P., D.M.) non hanno mai affermato ciò. I giudici del merito alterano i dati processuali quando affermano il contrario, atteso che tutti e tre i predetti testi hanno rilasciato dichiarazioni dalle quali non si può affatto evincere che l'operazione non sia consistita nella asportazione di una cisti mammaria.
L'affermazione di responsabilità pertanto riposa su di un evidente travisamento del significato delle prove raccolte nell'istruttoria dibattimentale.
Il ricorso è inammissibile per genericità (in quanto si fonda su di un approccio atomistico ai dati probatori e su di una non corretta lettura della trama motivazionale e dunque mostra di non averla correttamente interpretata).
Il ricorrente correda il ricorso della copia delle deposizioni dei professori D.M. e P. e pretende di reinterpretare le loro parole in senso difforme rispetto alla lettura fatta motivatamete propria dai giudici di primo e secondo grado.
Il ricorrente cita anche il teste D.M. (non allegando tuttavia il verbale delle sue deposizioni).
Ebbene, la sentenza impugnata rileva, al proposito, come proprio il D.M., presente in camera operatoria, riferisce che alla A. fu a suo tempo diagnosticata disimmetria mammaria per ipoplasia della mammella sinistra e ptosi lieve della destra. Sempre questo teste ha riferito come i genitori della ragazza lo avevano precedentemente informato che la figlia avrebbe dovuto essere sottoposta a una operazione di plastica al seno e che, per tale ragione, era stata, prima, visitata dal D., quindi, ricoverata nella clinica dove operava il predetto. La diagnosi di ingresso tuttavia (redatta dal D.P.) riportava falsamente "ascesso mammario" e ciò allo scopo di consentire che il costo fosse sostenuto dal Servizio sanitario nazionale che, all'epoca, non rimborsava le operazioni di plastica al seno.
Coordinando tali dati, dando adeguato rilievo al finalismo dell'azione dei due sanitari ( D.P. e D., che, in tesi di accusa, seppure ciascuno con condotta indipendente, miravano al medesimo scopo), la Corte ha ritenuto che entrambi ebbero a redigere (ciascuno per quello di sua competenza) falsi documenti sanitari (l'impegnativa di ricovero e la cartella clinica).
Le dichiarazioni del D.M. e del P., per parte loro, se isolatamente considerate, potrebbero anche prestarsi alla interpretazione che ne offre il ricorrente, ma valutate unitamente alle altre emergenze processuali, correttamente sono state considerate dai giudici del merito come corroborative della ipotesi di accusa.
D'altronde, pretendere di introdurre in sede di legittimità una nuova versione dell'accaduto sulla base di una diversa in interpretazione delle prove è operazione, pur dopo la novella del 2006, non consentita.
Invero, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass., sez. 5^, 30 novembre 1999, Moro, m. 215745, Cass., sez. 11^, 21 dicembre 1993, Modesto, m.
196955). Secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, del resto, l'art. 606 c.p.p. non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali (Cass., sez. 6^, 30 novembre 1994, Baldi, m. 200842; Cass., sez. 1, 27 luglio 1995, Chiodò, m.
202228) o una diversa interpretazione delle prove (Cass., sez. 1, 5 novembre 1993, Molino, m. 196353, Cass., sez. un., 27 settembre 1995, Mannino, m. 202903), perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Non c'è nessuna prova, infatti, che abbia un significato isolato, slegato, disancorato dal contesto in cui è inserita. Può accadere che una prova abbia un significato determinante; ma, per poter stabilire se una prova non considerata dal giudice del merito (o diversamente considerata) abbia effettivamente un significato probatorio pregnante, occorre comunque una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile.
Sicché, il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito, non lo può definire il giudice di legittimità sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue condanna alle spese del grado e al versamento di somma alla Cassa ammende. Si stima equo determinare detta somma in Euro 1.500,00.

P.Q.M.


la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di millecinquecento Euro a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2008